Dalla galleria dei Santi

Dalla galleria dei Santi
Pura icona rigorosamente in bianco e nero

giovedì 10 giugno 2010

Chimera? [parte prima, ma non so se pubblicherò la seconda ...]

‘Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda...’

La Chimera
Dino Campana


Non voglio morire...
E non cerco la facile eternità di una lametta, che lacera, che entra nei polsi, che scava...
Come lama nel burro...
Non desidero che il mio sangue scorra nello scannatoio di una vasca...
Nel privato macello, dietro le tende.
Vorrei assistere, impassibile, alla mia punizione...
Trovare il coraggio – il folle coraggio – di ritenerla giusta, appropriata...
Osservarmi dall’alto senza emozione, mentre si aprono i cancelli elettronici…
Scivolare nei corridoi, sfiorare le inferriate, seguendo la strada che porta alla cella…
La colpa e la pena.
Non ci sono attenuanti, a meno che le visioni, le premonizioni, i sogni – concreti quanto il sangue che scorre nelle vene – possano costituire un’attenuante…
O almeno un indizio di temporanea incapacità…
Scendere nel cuore della solitudine, le coperte sottobraccio e il sapone in mano…
Come nei film in bianco e nero, silenzioso e solenne…
Richard Burton con la faccia segnata, lo sguardo che taglia il granito, i muscoli inutilmente tesi…
Giù, nei cubicoli numerati, nella cripta con lavabo e servizi dove l’eco di molte vite risuona ancora…
E’ questo l’epilogo di una vicenda sbagliata?
Una vicenda che voglio raccontare, anche se nessuno mi ascolta ed anche se non sono un bravo narratore…
Una storia in bilico fra il sesso, la realtà della carne, la passione ambigua da un lato…
E all’opposto le visioni, i sogni , i richiami che dal profondo ci fanno scivolare nell’altra realtà…
Dove le cose possibili si moltiplicano e le ombre prendono forma…
Dove gli uomini, colpiti a morte, cadono e si rialzano come se nulla fosse…
Dove non c’è colpa e non c’è rimorso e i miti svolazzano come gabbiani sul mare…
Ma quando ritorni, fradicio ed inebriato, attraverso gli stretti vicoli del risveglio…
Capisci che non sei tu l’eroe e che non si può giocare per sempre con la vita e con il tempo…
Comprendi che sarebbe meglio non averla neppure iniziata, quella storia…
In ogni istante, davanti a noi c’è una strada che si biforca…
E non esiste la direzione giusta…
Rimpiangi di aver colto l’attimo sbagliato e di essere entrato per quella porta…
Che ora sta per chiudersi alle tue spalle, forse per sempre…
Ora che il mito banalmente si è dissolto assumendo la forma di un corpo senza vita, sotto la luna…

Non voglio morire…
Eppure la morte potrebbe rappresentare, a questo punto, l’unica liberazione...
La vera soluzione di un problema che non ha soluzioni...
L’ovvio rimedio a tutti i mali...
Il time-out definitivo.
Intravedo un gelido profilo dietro la porta – rimorso, colpa, suggestione – mi spia, mi squadra…
Si acquatta in posa felina, prepara i canini e immobile aspetta...
Non cerco di sottrarmi, non ci provo nemmeno…
Passo dopo passo, nel pantano della coscienza affondando durante la fuga...
L’evaso che una mano implacabile riacciuffa...
No.

Mi sembrerebbe di fuggire inseguito da un’ombra, da una voce…
Dalla sensazione di non poter più riavere il controllo della mia vita…
Se mai l’ho avuto, almeno una volta…
La morte è il ghigno di una coscienza che si spegne accusandoti…
Il vero esito delle nostre azioni, buone o cattive…
E la fine improvvisa, per tutti uguale, di un film mediocre.
Quanta ironia c’è nella morte, quanto buon senso...
Non dover più nascondersi dietro lo specchio...
Non aver più timore del vento notturno, degli scricchiolii, dei passi...
Non esser costretti ad inseguire il desiderio…
Come il levriere segue la lepre, senza sapere il perché…
Non avere più occhi per contemplare la bellezza, ma soprattutto, non avere più mente per ricordare…
Non dover levare a fatica la schiena dal letto, dopo una notte di bicchieri…
Non uccidere, non amare, non far morire e non far nascere…
E l’idiota non ancora putrefatto – che è in ciascuno di noi – se ne sta lì, a fissarla, inebetito...
Non crede ai suoi occhi, quando raggiunge i bianchi, scintillanti capolinea del mondo conosciuto…
Dove tutto è silente e perfetto…perché non ha più vita, non ha sangue, non ferisce e non da gioia…
Bagagli senza più peso, passeggeri incorporei che attraversano porte...
E si attraversano l’un l’altro...
Sale d’aspetto maestose, apparse per caso e squarciate dal lampo di un secondo...
Biglietti di sola andata che, purtroppo, non si possono prenotare...

La morte è un giustiziere imparziale, che blocca la lancetta dei secondi
E la fissa eternamente in un punto del quadrante...
Con fredda maestria, pareggia i conti.
Decide di venire, salendo o scendendo le scale mobili del tempo...
E non chiede il permesso...
A nessuno...neppure a Dio, e tanto meno a noi.
Il cacciatore di taglie che ti raggiunge dovunque e alla fine riscuote…
Figlio di una mano omicida o del caso...
Nascosto nel ferro che si abbatte sul capo, o germoglio di insidiosi contagi...
Sempre giunge puntuale, alle nostre spalle...
E sempre ci inchioda all’ultimo ricordo.

Rapidamente tutto svanisce, anche ciò che sembrava solido, eterno, definitivo…
Crollano i giganti di pietra e di acciaio, e senza schianto ridiventano polvere...
L’universo ritorna ad essere un punto, infinitamente piccolo in fondo al buio...
Che ci importa, se con noi finisce e si ferma l’ultimo treno, in mezzo al vuoto...
Oh, vecchia morte che nessuna scienza, nessuna immortalità effimera quanto l’uomo, ha mai vinto veramente...
Tu che cancelli le orme sulla sabbia, tu che dispensi senza emozione...
La sola dignità che ci è concessa, e l‘ultima immagine
Impressa sulla retina ...
Un cippo funerario evanescente, che scompare con noi.
E dietro il carro funebre ciò che rimane del cordoglio…
Un chiodo piantato nella testa, un camion che ti maciulla nella trama personale che nessuna telecamera riprende…
Superba parafasìa finale, nella confusione delle dissolvenze...
La pietà che si alza e comincia a camminare...
Il limite, la scogliera oltre la quale l’eternità mugghia come un uragano estivo...
Getti le carte sul tavolo, e volti le spalle al mazziere...
Interrompendo la partita sul più bello...
Troppo facile…
Troppo comodo.

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